Il 9 novembre 1989 crollava il Muro di Berlino: un evento epocale, che era frutto delle dinamiche politiche e sociali degli anni precedenti ma che a sua volta innescò una serie di mutamenti con una rapidità del tutto imprevista.
Il cardinal Martini, che in quegli anni ricopriva incarichi prestigiosi a livello di episcopato europeo e che era impegnato in un percorso ecumenico che aveva anche lo scopo di creare un ponte tra Est e Ovest, commentò in varie occasioni gli eventi di Berlino e quelli dei mesi seguenti, in particolare la riunificazione della Germania.
In particolare, a distanza di un anno dalla notte del crollo del Muro, tenne un lungo intervento all’Accademia di San Carlo sul tema “Le Chiese dell’Europa orientale oggi”. Riportiamo di seguito il primo paragrafo della sua relazione: il dattiloscritto digitalizzato è disponibile nel nostro Archivio.
Il ruolo delle Chiese nei cambiamenti dell’Europa centrale e orientale
Tutti noi abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a cambiamenti profondi e sbalorditivi, per tanti aspetti inattesi e imprevedibili, che, nel volgere di pochi mesi o addirittura di poche settimane, hanno cambiato il volto del Centro e dell’Est dell’Europa e che continuano a manifestare tutte le loro potenzialità. Lo dimostrano diversi fatti: dalla caduta del muro di Berlino con la successiva avvenuta riunificazione delle due Germanie, al processo di democratizzazione che va più o meno velocemente e facilmente realizzandosi in tutti i paesi del cosiddetto blocco comunista, che sembra inizi a intaccare anche l’Albania e che, con la sola eccezione della Romania, si è verificato in modo pacifico e senza spargimento di sangue; dal risorgere e dall’accentuarsi di varie spinte nazionalistiche e autonomistiche, al consolidarsi delle prospettive connesse con il processo delle Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa sia con gli accordi di Parigi di questi giorni, sia con l’annuncio di una istituzionalizzazione di questa stessa Conferenza; dal rispetto più diffuso dei diritti degli uomini e dei popoli, al riconoscimento di una maggiore libertà per le varie Chiese, e così via.
Sono certamente fenomeni che denotano anche tutta la loro fragilità, indeterminatezza, potremmo quasi dire la loro ambiguità. Comunque sia, come sottolineava Giovanni Paolo Il nel discorso del 5 giugno u.s. alla riunione di consultazione per l’Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, possiamo affermare che «quanto è accaduto negli ultimi anni e in particolare negli ultimi mesi sul continente europeo, in special modo nell’Europa centrale e orientale, appare a chi lo legge in profondità come una svolta storica in questo nostro difficile XX secolo. Si sta aprendo la prospettiva di una situazione nuova nella vita delle Nazioni. È crollata la divisione in due blocchi poggianti su contrapposti principi socio-economici ed ideologici, divisione imposta come conseguenza della seconda guerra. Per i Paesi dell’Europa centrale e orientale questo evento significa l’uscita, in certo senso, dalle catacombe e, in ogni caso, l’uscita da una situazione di più o meno radicale violazione dei diritti personali, in particolare del diritto di libertà religiosa e della stessa libertà di coscienza» (in Oss Rom, 6 giugno 1990, p. 4, n. 3).
In altri termini, ciò a cui abbiamo assistito dice il fallimento di un tentativo di soluzione del problema sociale e della giustizia attraverso il marxismo-leninismo nelle sue più svariate forme e nelle sue diverse attualizzazioni. Lo ricordava il Papa, lo scorso 12 gennaio, rivolgendosi al Pontificio Consiglio per la cultura: «Le grandi ideologie hanno mostrato il loro fallimento dinanzi alla dura prova degli avvenimenti. Sistemi che si autoproclamavano scientifici di rinnovamento sociale, oppure di redenzione dell’uomo da sé, miti della realizzazione dell’uomo attraverso la rivoluzione, si sono rivelati, agli occhi di tutti, per quel che erano: tragiche utopie che hanno provocato un regresso senza precedenti nella storia tormentata dell’umanità» (n. 1, in Oss Rom, 13 gennaio 1990, p. 5).
Ancora più profondamente, il nucleo centrale della crisi odierna va individuato nell’allontanamento da Dio e nella chiusura in un orizzonte solamente terrestre. Durante la sua ricca e stimolante relazione all’Assemblea ecumenica di Basilea del maggio 1989, con parole estremamente chiare e con denunce molto coraggiose, lo ricordava il metropolita Cirillo di Smolensk e di Kaliningrad. Tra l’altro, così si esprimeva: «L’essenza spirituale della crisi dell’odierna civiltà si percepisce come allontanamento degli uomini da Dio, tra di loro, dalla natura e come demolizione dell’integrità della persona umana. Dal Rinascimento in poi si rivela nitidamente la principale tendenza dello sviluppo sociale: la politica, l’economia, la scienza, la tecnica sono diventate definitivamente sfere autonome, che non riconoscono la superiorità della legge morale e del principio spirituale. […] Ma questa autonomia dell’attività umana non ha promosso affatto la liberazione dell’uomo stesso. Via via che cresceva l’indipendenza della civiltà dallo spirito umano, l’uomo diventava schiavo della civiltà. Subordinando il proprio spirito ‘alle esigenze del tempo’, costruendo la propria vita non secondo la legge morale, ma secondo la legge di questo mondo, l’uomo ha messo a repentaglio la sua integrità» (Verso un’ecologia dello spirito, in A. FILIPPI (a cura di), Basilea: giustizia e pace, Dehoniane, Bologna 1989, pp. 34-35).
Lo ha sottolineato anche il patriarca Alexij in una recentissima intervista ad alcuni giornalisti italiani mettendo in luce, tra gli errori della Rivoluzione, il fatto che «negli scorsi decenni è stato inferto un temibile colpo ai contadini, ai rappresentanti della scienza, all’esercito, agli stessi comunisti attraverso le repressioni di massa. In nessun caso, però, era stato messo in programma di distruggere completamente una classe. Per la Chiesa, invece, era previsto l’annullamento totale. Ma, senza la Chiesa, la società è entrata in un vicolo cieco e oggi c’è la coscienza che solo con la religione si può costruire il rinnovamento della società» (cf L. LOSA, Nessuna perestrojka senza di noi, in Avvenire, 18 novembre 1990, p. 3).
Soprattutto, però, i cambiamenti ai quali abbiamo assistito e ai quali stiamo assistendo dicono la forza di una umanità che, nonostante tutte le difficoltà e le oppressioni, si risveglia, alza la sua voce e reclama i suoi diritti più fondamentali. Infatti, come ha sottolineato ancora Giovanni Paolo II, «la cosa più ammirevole negli avvenimenti dei quali siamo testimoni, è che interi popoli abbiano preso la parola: donne, giovani, uomini hanno vinto la paura. La persona umana ha manifestato le risorse inesauribili di dignità, di coraggio e di libertà che custodisce in sè. In paesi nei quali per anni un partito ha dettato la verità in cui credere e il senso da dare alla storia, questi fratelli hanno dimostrato che non è possibile soffocare le libertà fondamentali che danno un senso alla vita dell’uomo: la libertà di pensiero, di coscienza, di religione, d’espressione, di pluralismo politico e culturale» (Al Corpo diplomatico, 12 gennaio 1990, n. 7, in Oss Rom, 14 gennaio 1990, p. 6).
A questo punto, se ci chiediamo quale è stato il ruolo delle Chiese in tutti questi processi, non possiamo tacere che «il punto di partenza o il punto d’incontro è stato sovente una Chiesa. Poco a poco si sono accese candele per formare un vero cammino di luce, come per dire a coloro che per anni hanno preteso limitare gli orizzonti dell’uomo a questa terra, che egli non può rimanere indefinitivamente incatenato» (Ibidem, n. 5).
Sono molteplici i fatti in grado di mostrare che la presenza delle Chiese cristiane non è stata per nulla indifferente in questo straordinario processo storico. A titolo esemplificativo, si potrebbe pensare al significato della Chiesa in Polonia e, seppure in misura diversa, in Ungheria; a quanto, in Germania dell’Est, è accaduto intorno alle Chiese protestanti e, in particolare al pastore Rainer Eppelmann; a come, nella stessa rivoluzione in Romania, una delle scintille che l’hanno provocata sia stata la rivolta contro la persecuzione subita da un pastore protestante a Timisoara; alla stesso emblematico rito di benedizione del nuovo presidente cecoslovacco, Havel, da parte del cardinale primate Tomasek. Anche in Unione Sovietica, «il solo fatto della presenza fisica della Chiesa all’interno di una società ideologicamente uniforme ha avuto un’importanza assai grande. La Chiesa ha introdotto nella società l’elemento del pluralismo, la sua esistenza, malgrado la forte e organizzata propaganda ateista, ha costretto a riflettere» (CIRILLO, Verso un’ecologia dello spirito, cit., p. 33).
È pur vero che non sempre e non dovunque le Chiese, come tali, hanno avuto un ruolo diretto e immediato: tutto questo è dovuto anche al tipo di «condizionamento» a cui erano soggette e ad eventuali «forme di compromesso» che storicamente si erano andate realizzando. Può anche essere che il ritrovarsi intorno a una Chiesa o l’incontrare una Chiesa in questi processi di cambiamento non sia sempre il segno di una riconosciuta appartenenza ecclesiale. Gli storici, rileggendo le vicende di questi decenni potranno cogliere le diverse sfumature e precisare tutto ciò.
Una cosa, però, mi sembra difficilmente contestabile: è il ruolo della religione e del suo messaggio. Ricordo, in proposito, con quanto desiderio di sapere la verità i giornalisti sovietici ci interrogavano due anni fa, durante le celebrazioni del millennio del battesimo di quelle terre, sul significato della religione per una società. Si trattava di una domanda che portavano nel cuore e per la quale attendevano una risposta sincera, capace di nutrire il loro spirito, prima ancora di offrire loro argomenti per la cronaca. Al di là di ogni riconosciuta appartenenza ecclesiale, infatti, il messaggio cristiano – con i suoi valori di trascendenza, di libertà, di dignità della persona, fondati sul mistero assoluto di Dio – non può non aver tenuto desti questi stessi valori in molta parte del popolo. Si può affermare così che la nuova stagione che si è inaugurata nei paesi dell’Europa centrale e orientale va collegata anche con la forza inerme delle fede, che ha potuto contare solo sulla fedeltà eroica dei credenti. Infatti, chi ha lottato per la conquista delle libertà civili non poteva non avere come punto di riferimento proprio il cristianesimo e le Chiese.
Cronologia in breve