p. Giuseppe Bettoni
presidente Fondazione Arché

 

L’ultima eucaristia con Martini

Accompagnando con la preghiera la pasqua del cardinal Martini nel mio cuore si sono accese due immagini che condivido con umiltà.La prima immagine viene da un dolcissimo testo ebraico antico che così racconta la morte di Mosè sul monte Nebo: Si udì una voce dal cielo che disse a Mosè: «Mosè, è la fine, il tempo della tua morte è venuto!». Mosè disse a Dio: «Ti supplico, non mi abbandonare nelle mani dell’angelo della morte!». Ma Dio scese dall’alto dei cieli per prendere l’anima di Mosè e gli disse: «Mosè, chiudi gli occhi, posa le mani sul petto e accosta i piedi!». Mosè fece come Dio gli aveva ordinato. Allora Dio baciò Mosè e prese la sua anima con un bacio della sua bocca. Poi Dio pianse per la morte di Mosè.

Mentre piango il nostro cardinal Martini rileggo la sua morte in filigrana a questa pagina così tenera e serena. Quel Signore che egli ha tanto amato e testimoniato è sceso e si è accostato al suo capezzale e con un bacio gli ha preso la vita e l’anima per condurlo a sé.

La seconda immagine è più personale ed è il ricordo della mia ultima eucaristia con lui, che è stata anche l’ultima volta che ci siamo incontrati. Avevamo concordato l’incontro e attendevo di salire nel suo appartamento: da qualche mese non sentivo né vedevo il Cardinale e avevo proprio desiderio di incontrarlo … sono nella cappellina al 2° piano dell’istituto di Gallarate da una mezz’ora. Alle 11.00 viene don Damiano e mi invita a salire nell’appartamento: il cardinale è affaticato, la notte non è stata tranquilla e la fisioterapia ha fatto il resto. Trovo Martini pressoché sdraiato sulla poltrona quasi del tutto disteso e avvolto in due coperte morbide. Mi saluta con il suo ormai consueto filo di voce, ma gli occhi brillano di una luce intensa, mi commuovo e vorrei abbracciarlo come si abbraccerebbe un padre, ma è più di un padre e il rispetto per l’autorevolezza mi fa chinare per un bacio su entrambe le mani, sottili, quasi fredde. Don Damiano scende a prendere quello che serve perché celebriamo l’eucaristia nel salottino, intorno al tavolo.

Sono attimi preziosi, sono solo con lui e mi domanda cosa faccio, dove sono adesso perché mi ha perso in giro per l’Europa. Gli racconto di me e del fatto che devo constatare che ormai non abbiamo grandi chances: le differenze sugli stili di vita tra nord Europa e sud, l’invecchiamento dei religiosi, la mancanza di vocazioni … non mi fa finire e con voce sottile: la vita religiosa così come è nata dal 1200 è finita, è finita. Cosa possiamo fare? Chiedo io, possiamo tentare delle esperienze, magari con i laici? Deve finire prima tutto questo, mi risponde. Ma tu come stai? Domanda decisiva. Sei in pace dentro di te?

Con l’aiuto del fisioterapista si accomoda sulla sedia intorno all’altare: vuole però indossare prima la croce pettorale e poi la stola. La messa è presieduta da don Damiano, anch’io indosso la stola e sono di fronte al Cardinale: lo scruto con uno sguardo che vorrebbe carpirgli un poco della sua sapienza, della sua saggezza, del suo spirito.

Il mondo è lì, nella solitudine di Gallarate, intorno a un tavolo dove il mistero di Dio si rinnova in un uomo straordinario. Mi ricordo della Messa sul mondo di Tehillard de Chardin. La materia qui è la fragilità di un uomo che mi sta dinanzi e che per me è stato e rimane il mio vescovo. Sussurra le risposte, mi benedice prima che io legga il vangelo del giorno.

Con grande delicatezza don Damiano al momento della consacrazione consegna l’ostia nelle mani di Martini, ed è lui a pronunciare con chiarezza: Questo è il mio corpo dato per voi. È il suo corpo che viene incorporato nella materia dell’eucaristia, la sua statura, il suo essere pastore anche nell’incertezza dei passi dalla poltrona alla sedia; nella voce prestata al Cristo. Questo è il mio sangue … per voi e per tutti.

Quanto grande è il tuo cuore padre e pastore! Questa è la materia dell’eucaristia, in quel calice ci sono tutte le innumerevoli persone che si sono affidate a lui, che ha conosciuto, la situazione della Chiesa. Il calice è molto profondo. Abisso di dolore e di speranza. Grazie padre Martini, non basterà il resto della mia vita per fare eucaristia del tuo dono. Del tuo esserci anche così, portando nel tuo corpo l’immensa debolezza del mondo e dell’uomo. Mi sento accolto da te nella mia povertà e mi ritrovo abbracciandoti, l’abbraccio del mondo.

E poi quell’ultimo e umile servizio a «purificare il calice», così si dice, ma non c’è nulla da purificare. Il sangue di Cristo rende santo anche l’oro finto di un calice di metallo. Eppure non disdegni di compiere quell’umile servizio, tu cardinale di santa romana chiesa. Eravamo in tre e dei tre eri il meno indicato. Ultimo gesto di una messa sul mondo che dice l’umiltà che nasce dall’eucaristia. Ultimo insegnamento per chi non lo volesse ancora capire che o torniamo lì o non andiamo da nessuna parte; o si riparte così o non c’è futuro per noi umani, affrettati al potere e al prestigio. La messa sul mondo.

Mi congedo e chiedo se posso tornare: Quando vuoi e quando puoi. Tornerei anche domani, tornerò alle sorgenti ad attingere speranza nelle braccia vacillanti di un vegliardo dal cuore grande come il duomo che lo ha accolto per tanti anni.

Grazie padre. … Oggi so che ci vedremo, almeno spero per me, a un’Altra mensa.

www.giuseppebettoni.it, 31 agosto 2012
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